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Una rissa è ben più di una rissa

Venerdì 8 gennaio 2021 un centinaio di ragazzi giovanissimi si sono dati appuntamento per picchiarsi. In Rete ne ho sentite di ogni, ma pare che i commenti abbiano evitato la vera questione importante

Un manichino che picchia un altro manichino steso a terra

Questo è un articolo molto diverso da quelli che trovi nel mio sito: di solito scrivo articoli didattici, ma questo è più una riflessione (e uno sfogo) personale. Qui non c'è solo la mia professione, ma ci sono tutta io, come vedrai più avanti.

Ti prego di una cosa: perdonami se, nel citare Comuni o esponenti politici rimango sul vago: in questo caso, non è importante fare i nomi, quanto definire le linee di approccio.

Rissa a Gallarate venerdì 8 gennaio 2021

Se sapere meglio che cosa è successo a Gallarate, puoi guardare il video sottostante, messo a disposizione su YouTube dai fanpage.it.

Combattenti medievali e, in primo piano, due mani che scrivono sul telefoninoClicca per guardare il video

Credo che, per quanto l’avvenimento di Gallarate abbia colpito l’opinione pubblica, non ci si sia resi conto della vera gravità di questa rissa…

Sui social si sono scatenate discussioni dove diverse persone minimizzano, dicendo che, in fondo, le risse ci sono sempre state. È vero che le risse ci sono sempre state, ma questa è il segno di qualcosa di più grande.

Una rissa progettata su chat e social

Questa rissa sembrerebbe essere stata pianificata: la stavano pianificando già da prima di Natale. Inoltre, sono stati coinvolti ben cento ragazzi, provenienti da comuni diversi. Da quello che risulta, ci sono ragazzi di Gallarate, di Malnate (un Comune che è praticamente sul confine con la Svizzera), di Varese, Cassano Magnago e di altri Comuni.

Perciò non si tratta della zuffa classica di due bande di ragazzi di comuni limitrofi, confinanti, che si trovano a picchiarsi. Sono ragazzi che vivono in luoghi distanti, che magari neanche si conoscono, che hanno organizzato e che si sono trovati in centro a Gallarate per fare la rissa.

Si tratta di un duello organizzato tramite social e Whatsapp. A oggi, non si sa esattamente perché. Ovviamente le forze dell’ordine stanno indagando.

Sul motivo di questa rissa tornerò più avanti. Prima, lasciami fare chiarezza su ciò che mi spinge a scrivere queste righe.

Una rissa che mi fa sentire coinvolta

Ci sono tre motivi principali per i quali sento questa rissa come qualcosa di personale, qualcosa che mi riguarda direttamente.

È il mio territorio, la mia gente

Il primo motivo è legato al territorio. È la zona in cui vivo e in cui sono cresciuta; per me, Gallarate è uno dei Comuni che sono abituata a frequentare. È la mia terra. Qui ci sono i miei parenti, i miei amici, i miei clienti. E anche i miei ricordi. È un territorio che è dentro di me, che mi appartiene e cui appartengo.

Sono mamma

Ho un bambino. Sono mamma, sia carnalmente sia psichicamente. Vivo nella mia carne il prendermi cura dei figli. È una cosa che mi costituisce e a cui non potrei rinunciare, neppure se volessi. Ora, vedere questi ragazzi (che, ricordalo, sono in gran parte minorenni) che organizzano coscientemente una rissa gigantesca, che mettono in atto un comportamento che va direttamente contro ciò che io sento carne della mia carne, è per me intollerabile. Lo sento intrinsecamente sbagliato, una vera bestemmia.

Sto dicendo queste cose non solo per spiegare il mio stato d’animo, ma anche per aiutarti a far luce su ciò che vivi tu, se anche tu ti senti profondamente mamma. O papà.

Sono un’educatrice

Sono psicologa e psicoterapeuta. Il mio lavoro è aiutare le persone a sentirsi a posto con sé stesse e al proprio posto nel mondo. Aiutarle a costruire relazioni significative ed appaganti.

Questa rissa, questa perdita di senso e questo tipo di relazione sono proprio il contrario di ciò che io mi sforzo di costruire con il mio lavoro. Non solo: professionalmente so qual è il costo, altissimo, di un sistema civile basato su questi disvalori di violenza.

No: non si può minimizzare.

La rissa e le reazioni non sane

Di fronte ad avvenimenti come quello che ha visto cento ragazzi fronteggiarsi a Gallarate, le reazioni possono essere diverse. E purtroppo alcune non sono sane; nei giorni successivi alla rissa ne ho individuate in particolare tre.

Condannare e reprimere

La prima reazione, probabilmente la più comune, è inquadrare l’accaduto come un semplice problema di ordine pubblico. Se ne deve interessare dapprima l’organo inquirente e poi quello giudiziario.

A mio parere, equivale a curare il sintomo senza neppure chiedersi quale sia la causa del male.

Non voglio esaminare più a fondo questa posizione (magari lo farò in un altro articolo in futuro). Qui mi limito a dire che, adottandola senza criterio, si corre il rischio di sprecare un tesoro di potenzialità umane e anche, alla lunga, di peggiorare la situazione.

Minimizzare: le risse ci sono sempre state

Nei giorni successivi alla rissa, i social hanno registrato molte prese di posizione minimizzanti, riconducibili all’affermazione che, in fondo, le risse ci sono sempre state.

È vero che le risse ci sono sempre state…

Nella zona, ad esempio, ci sono alcuni comuni dove per anni gruppi di ragazzini si trovavano sul confine a pestarsi. Ma un paio di questi comuni sono anche zone in cui si sono infiltrate cellule della criminalità organizzata. E quindi questi ragazzini si ritrovavano per pestarsi perché “tu appartieni a questo, tu appartieni a quello”. Ma quello lo facevano già dieci anni fa.

Il problema di questa rissa è che sembrerebbe essere stata pianificata: i ragazzi la stavano organizzando già da prima di Natale. Ma non solo. Non si trattava di un duello all’arma bianca dietro la chiesa, ma erano coinvolti ben cento ragazzi. provenienti da comuni diversi, tra cui appunto il mio comune. Altri ragazzi sono di Gallarate (a quello che è dato sapere finora), altri di Malnate, che è praticamente sul confine con la Svizzera, altri ancora di Varese.

Quindi non si tratta di due bande di comuni limitrofi, confinanti, che si trovano ad azzuffarsi. Sono ragazzi che vivono distanti, probabilmente che magari neanche si conoscono, che hanno organizzato e che si sono trovati in centro a Gallarate per fare la rissa.

Un duello organizzato tramite social e Whatsapp. E non si sa perché, con precisione. Ovviamente le forze dell’ordine stanno indagando.

Insomma: questa non è una rissa come le altre. Segna anzi un passaggio evolutivo. Ed è un evento che sicuramente non riguarda solo Cassano Magnago, Gallarate o la provincia di Varese. In realtà ce n’è stato un altro a Roma e ne stanno accadendo altri in diverse zone d’Italia, non solo qui.

Giustificare: è colpa del Covid

Tra tutti gli articoli che ho letto a proposito di questa rissa, uno mi ha particolarmente colpita. È quello pubblicato da Famiglia Cristiana, a firma di Alberto Pellai.

L’articolo suggerisce in sostanza che questa rissa è stata una risposta dei ragazzi ad una situazione (quella del lockdown e del distanziamento) che ha tolto loro ogni stimolo. La domanda che si pone il giornalista è: “dove può un giovanissimo oggi convogliare, mettere in gioco e canalizzare tutta la sua energia vitale, evitando di scegliere una rissa in piazza come metodo per riuscirci? Come può far capire che c’ è, sentirsi visto e sentito in un tempo che sta chiedendo a chi cresce di stare zitto e in silenzio, di rimanere invisibile e passivamente obbediente a tutte le decisioni che gli adulti stanno prendendo in relazione alle vite e ai bisogni degli adolescenti?”.

È una domanda importante, che però secondo me tralascia una realtà dei fatti ancora più importante e che, peggio, nasconde una questione molto più profonda.

Rissaioli per noia? Per esasperazione?

Prima di proseguire, devo specificare che dal 2019 io do il mio piccolo contributo nelle attività sociali di un Comune della zona. Nel dicembre 2019 ho saputo che gli assistenti sociali stavano valutando di far partire un progetto di educativa di strada, grazie alla collaborazione di una cooperativa che si è sempre occupata di educativa di strada. Il lavoro riguarda anche la prevenzione all’abuso di alcool, la sensibilizzazione sui temi legati all’AIDS e all’uso dei preservativi… Questa cooperativa è quindi già attiva su questo fronte.

Lo scopo di questo lavoro è intercettare un gruppo di ragazzi disagiati, che erano già stati segnalati e che avevano già commesso dei reati; non si è trattato di reati particolarmente gravi, ma erano comunque reati. I ragazzi segnalati e individuati dai servizi sociali erano circa una cinquantina.

Già alla sera della rissa sembrava che fossero coinvolti ragazzi di cui si era parlato nella riunione. Io speravo di no, però (dando corso ai miei timori) ho immaginato che alcuni di questi ragazzi coinvolti fossero alcuni di questi cinquanta già noti ai servizi sociali. Poi il sindaco l’ha dichiarato ufficialmente.

Perciò, quando ho letto l’articolo di Famiglia Cristiana che tendeva di dare un po’ di colpa anche a questa condizione che noi stiamo vivendo per via del Covid, io mi sento di dire che non è così. C’è già una situazione di disagio dietro.

Questi ragazzi, a mio parere, l’avrebbero fatto anche se non ci fosse stato il Covid. Quindi c’entra relativamente l’assenza dello sport, dei luoghi d’incontro e di socialità…

Mi viene in mente un ragazzino che ho seguito attraverso la sua scuola. Mi diceva: “Oggi pomeriggio mi trovo a pestarmi con questi”. Lui non faceva sport.

Quei ragazzi che sono un po’ devianti raramente praticano un’attività sportiva, o comunque un’attività extrascolastica. Almeno, nelle realtà come quelle in cui ho lavorato io, si vedevano quelli che facevano casino: la maggior parte non faceva niente al di fuori della scuola.

È anche vero che però la rissa è successa in un periodo storico un po’ particolare e probabilmente la condizione che questi ragazzi stanno vivendo oggi di isolamento e dell’impossibilità di uscire ha radicalizzato il disagio. Già facevano casino prima… forse la rabbia e la noia si accentuano e per interrompere la noia arrivano a fare queste cose.

A me viene da pensare che probabilmente si sarebbero pestati comunque in centro, anche perché a Gallarate di risse ultimamente non dico che ce ne sono tutti i week end o tutti i sabato sera, ma poco ci manca. Questi adolescenti si pestavano quasi tutti i fine settimana.

Tempi che cambiano

Il fatto che a Gallarate ci siano gruppetti che facciano rissa al sabato sera mi impressiona. Mi impressiona perché io ho sempre vissuto in queste zone. Da adolescente non ero una di quelle che usciva tantissimo, ma le volte che uscivo non percepivo questa sensazione pericolo. Non c’erano tutte queste risse come stanno capitando ultimamente.

Invece, gli adolescenti che vengono in studio da me e che escono in centro a Gallarate mi hanno detto più di una volta: “Sai cos’è successo? Hai sentito cos’è successo?”.

E qualcuno mi diceva “Meno male che questo sabato io non sono uscito”. O “Meno male che io non ero lì”.

Ultimamente questo questo tipo di fatti è molto frequente, anche se non così organizzato come nel caso specifico della maxirissa. Quindi, come dicevo all’inizio, la gravità di questa situazione è proprio il fatto che l’hanno organizzato su chat e social.

I genitori alla finestra

Secondo il sindaco di uno dei Comuni dei ragazzi coinvolti nella rissa, sembrerebbe che alcuni genitori controllando i cellulari avrebbero scoperto ciò che si stava preparando ma non hanno detto nulla.

Ecco, io non voglio generalizzare, ma purtroppo io faccio fatica a pensare che alcuni genitori (soprattutto in situazioni di disagio) abbiano la capacità di discriminare la gravità di quello che i figli stanno facendo.

A scanso di fraintendimenti, devo precisare che non credo che tutti i cento ragazzi che erano là in piazza siano figli di famiglie poco perbene o disagiate. Penso che di quei cento qualcuno si pestava e qualcuno è andato lì semplicemente per vedere, per divertirsi a guardare che si pestavano. E probabilmente c’erano anche figli di famiglie normali.

Però se qualcuno è figlio di famiglie disagiate, io non penso che il padre e la madre si preoccupino di andare a guardargli il cellulare e vedere che cosa sta combinando.

E, comunque, non è una cosa comune andare a controllare i rapporti che i figli mantengono, anche attraverso i social e le chat.

L’adulto interrogato

Riguardo alla rissa di Gallarate e al disagio giovanile ho visto e sentito tante cose contrastanti, ma credo che ci si debba interrogare in modo molto più ampio:

  1. che cosa questi ragazzi stanno tentando di dirci che noi adulti non capiamo?
  2. che cosa noi adulti non stiamo facendo?

Prima di cercare di rispondere a queste due domande, vorrei riprendere un vecchio tema. È vecchio ma purtroppo sempre valido: l’assenza di regole e di autorevolezza da parte delle figure genitoriali. Che quest’assenza ci sia, ormai è un fatto assodato. Probabilmente i genitori di oggi sono il risultato di una tradizione molto repressiva e di una susseguente stagione di libertà da figli dei fiori, ma sembra che non siano stati in grado di trovare un loro modo di essere autorevoli nei confronti dei figli. E quindi dare la giusta regola.

E, se non c’è una giusta regola, alla fine vale tutto.

Questo bisogna tenerlo presente: la libertà è tale solo all’interno di una struttura codificata e riconosciuta che garantisca il rispetto degli altri. Altrimenti, è un’altra cosa.

L’adulto sordo

Tornando a ciò che questi ragazzi stanno tentando di dirci che noi adulti non capiamo, mi rifaccio ai numerosi adolescenti che sto incontrando professionalmente negli ultimi tempi.

Sono tutti ragazzi molto tranquilli, ma hanno sviluppato attacchi di panico, non sanno che cosa vogliono nel loro futuro, sono molto chiusi in sé stessi e non esplicitano molto (almeno, a parole).

Un’altra cosa che riscontro già da tempo addirittura nei ragazzi delle medie (e che a mio parere molto è grave), è la mancanza di empatia, la mancanza di contatto con le proprie emozione e di comprensione delle emozioni altrui.

In altre parole, questi ragazzi sono emotivamente poveri. Fanno fatica a riconoscere le proprie emozioni e a stare in contatto con esse. Credo che fare una rissa del genere sia probabilmente una risposta distorta alla necessità di provare qualcosa, di sentire delle emozioni forti.

Forse questi ragazzi stanno chiudendosi talmente tanto a livello emotivo che quando è venuto meno il contatto fisico (e qui sicuramente incide anche questa chiusura dovuta al Covid per cui non ci si può più incontrare) si è creata la tempesta perfetta per il disagio.

E invece che esplicitarlo in un modo più sano lo hanno palesato attraverso l’aggressività. Anche l’aggressività, il prendersi a pugni, è comunque un modo di entrare in contatto.

C’è un aspetto che colpisce ancora di più. Mi rifaccio a un corso di Matteo Lancini che ho frequentato qualche tempo fa. Il tema era “Il ritiro sociale degli adolescenti” e trattava tra l’altro di come gli adolescenti vivono oggi i rapporti personali e la sessualità. Spesso gli adolescenti di oggi si nascondono dietro a al computer: tra di loro comunicano tantissimo attraverso Instagram, Whatsapp o strumenti simili. Per loro, anche se frequentano la stessa scuola, la prima conoscenza passa attraverso Instagram e solo in seguito, magari, si conoscono di persona.

Ciò che Matteo Lancini metteva in evidenza è che manca proprio l’esperienza corporea, poiché le pratiche legate alla sessualità sono mediate dall’uso di questi strumenti. Ad esempio, l’invio di immagini di nudo: è una pratica diffusissima.

Ed è una pratica che riguarda anche le ragazze tra di loro: tra amiche, sembra ormai normale scambiarsi foto intime: è diventato un gioco. Una ragazza che ho seguito mi ha detto che nel suo gruppo tutte lo facevano.

Il pensiero dell’adulto corre magari al fatto che poi chissà che fine fatto queste foto, perché, per quanto puoi fidarti di un gruppo di amiche, c’è sempre il rischio che qualcuno le metta in Rete. Ma nel gruppo questo pensiero viene cancellato. Ma questa è una considerazione, appunto, da adulto...

Queste sono tutte riflessioni che metto insieme. Il contatto con il corpo è mutato tantissimo in questi ragazzi. Manca proprio l’esperienza corporea. Che è venuta ancora meno per via di questo distanziamento forzato.

L’adulto senza proposte

Tra i commenti seguiti alla rissa, ce ne sono purtroppo alcuni che portano con loro una trappola subdola. Sono quelli che sembrano solidarizzare con i ragazzi, dicendo che dietro a un adolescente deviante c’è spesso un mondo bellissimo.

Sembra una cosa bella, ma è una trappola subdola.

Chiunque fa un lavoro come il mio può testimoniare tutte le persone, quando accettano di mettersi in gioco e affrontano un problema, mostrano la loro bellezza; una bellezza che loro all’inizio non vedono e magari neppure credono che possa esistere. Anche i devianti.

Ma anche commentare la rissa con argomenti del genere è dare per scontato che il ragazzo che era là in piazza era un ragazzo deviante. Cosa probabile, ma che non darei così per scontata al 100%.

Perché deviante bisogna definirlo. O facciamo rientrare in questa classificazione solo quelli che hanno subito una denuncia o che appartengono a famiglie disagiate, o dobbiamo estendere il concetto. A mio parere la definizione di devianza va estesa.

Io non conosco i nomi di coloro che hanno partecipato alla rissa, però sono convinta che ci fossero anche ragazzini apparentemente tranquilli, che si sono lasciati trascinare.

E poi, consideriamo il numero: cento ragazzi che si sono messi d’accordo per fare una cosa del genere. Un conto è una rissa di due gruppetti, una decina di ragazzi. Due ragazzi che si prendono a botte e gli amici che li difendono. Ma cento! È un numero altissimo.

A me, questa cosa fa paura. Paura perché sono giovani: parliamo di ragazzi di 14 anni. E sono il futuro.

E, mi chiedo: che mondo stiamo preparando per loro?

Questi ragazzi hanno sbagliato. Ma chiediamoci noi che cosa stiamo facendo. Gli adulti, le istituzioni.issa-a-gallarate-è-ben-più-di-una-rissa

Questo riporta alla mancanza di autorevolezza e alla mancanza di punti di riferimento sani. Di base è difficile essere un punto di riferimento, anzi è difficile fare il genitore. Ma essere un punto di riferimento ancora di più; se si guardano alcuni insegnanti, purtroppo non si può dire che siano punti di riferimento sani.

Io ho lavorato nelle scuole: ci sono insegnanti che sono aggressivi. Verbalmente. E lo giustificano perché loro sono i docenti.

E no!

Poi per fortuna non sono tutti così. Tanto ho visto insegnanti aggressivi ed incoerenti quanto ho visto insegnanti veramente validi, anche nel modo di gestire elementi difficili.

Penso poi al fatto che si sono trovati apparentemente senza uno scopo… Penso ai giovani tristemente protagonisti degli anni di piombo che ci sono stati in Italia, con le Brigate Rosse e il terrorismo: è vero che loro utilizzavano la violenza, ma c’era un’ideologia, un qualcosa che li spingeva. C’era una protesta.

Qui invece sembrerebbe che il motivo non ci sia. Qual è l’obiettivo? C’è solo questa violenza, quest’aggressività senza un motivo. Non è costruttiva.

Ma guardiamo ciò il mondo degli adulti propone come modello accettabile.

  • Lo stesso giorno, il giorno prima, che cosa è successo negli Stati Uniti? Il presidente uscente non accetta il responso delle urne e invita i suoi sostenitori a sovvertire con la forza il volere della maggioranza e ad assaltare il Congresso.
  • A maggio, che cosa è successo nelle nostre piazze? Gente che si trovava dicendo che il Covid non esiste, senza mascherine. E tra questi anche rappresentanti politici. Che utilizzano un linguaggio terribile.

Certo che se viene considerato adeguato essere così… Se gli si dice questo è quello che va bene…

È evidente che mancano dei punti di riferimento sani, familiari ma non solo familiari. Perché qui noi dobbiamo guardare anche ciò che ci trasmette la politica, il nostro modo di vivere.

C’è violenza ovunque.

E sembrerebbe che l’unico modo di risolvere i problemi sia la violenza. O che l’unico modo di agire, di farsi notare sia agire in modo violento.

È una questione politica

Di fronte a tutto questo, noi adulti dobbiamo riflettere su ciò che vogliamo dalla nostra vita e su ciò che vogliamo lasciare ai nostri figli.

A mio parere è necessario un lavoro enorme di cambio di cultura generale. Non è questione di interventi mirati, tattici: in caso di emergenza, vanno bene i progetti come quello di educativa di strada, perché l’emergenza va gestita. Però non può essere l’emergenza sempre.

Occorre progettare per le generazioni future, per far sì che non ci siano più cinquanta ragazzi che commettono piccoli reati. O che questi cinquanta si riducano magari dieci, e poi a cinque.

Occorre che chi ha un incarico pubblico sia capace di operare a lunga scadenza, senza pensare solo alle prossime elezioni.

Chiudo riassumendo i punti per me importanti di cui noi tutti ci dovremmo occupare per una vera politica sociale:

  • far sì che la formazione e lo studio siano nuovamente percepiti come valori per la vita, non come tempo perso. Per far ciò è necessario che la professione di insegnante non sia un ripiego per chi non trova di meglio, ma una missione per chi accanto alla competenza tecnica ha la sensibilità per accompagnare i ragazzi a una vera crescita personale. Gli insegnanti stessi dovrebbero essere supportati attraverso una vera formazione personale permanente
  • far sì che i ragazzi siano abituati al dibattito e al confronto, in modo sereno e con la capacità di comprendere le ragioni dell’altro. Prima dell’abilità di convincere, c’è la capacità di conoscere appieno le proprie idee e individuare quelle degli altri. Niente a che vedere con gli esempi di oggi sia nella vita reale sia in TV, e tanto meno nella politica. Dove la norma è l’urlo e l’insulto
  • far sì che i ragazzi siano capaci di riconoscere ed esprimere i propri sentimenti e le proprie emozioni, in modo sano. E che possano riappropriarsi della loro dimensione corporea

Nessun adulto è escluso da questi compiti. Non sono cose che si possano delegare agli insegnanti, alle forze dell’ordine o agli psicoterapeuti. Ognuno di noi è chiamato a vivere in accordo con questi principi, perché ciò che trasmettiamo non è né ciò che diciamo né ciò che facciamo: è ciò che siamo.

Noi adulti possiamo scegliere come essere. E perciò che mondo consegnare ai nostri figli.

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